Il virus della cultura

Una riflessione

Sono settimane di riposo forzato per chi, come noi fa teatro.

Sono anche settimane in cui, più che mai, ci si rende conto di che ruolo e luogo vengono riservati nel nostro Paese, alla cultura e a chi di cultura vive.

Lo si capisce facilmente non tanto dalla necessaria chiusura dei “luoghi di assembramento”, quanto dal trattamento che viene riservato a chi li gestisce e vi lavora: il nulla formato nulla. Non è stato ad ora elaborato alcun piano progettuale e gestionale di tutela per quelle realtà che formano quel milieu culturale che fa si che il paese sia quello che sia. Non un piano che preveda la tutela economica dei lavoratori che quell’ambiente culturale e territoriale ogni giorno creano e abitano.

L’emergenza non ha fatto oggi dimenticare chi opera nella cultura, ha semplicemente fatto ora affiorare chiaramente la mentalità che governa la gestione politica della cultura in Italia, che ha innestato quella attuale, esiziale – turistica – nella precedente, mortifera – museale.

Ed è inutile sottolineare i più di centomila occupati che lavorano nel teatro, o i fatturati milionari che le imprese teatrali producono, perché non conta nulla: se non c’è guadagno diretto, non c’è grande urgenza ad investire soldi pubblici.

Eppure la nostra Repubblica democratica è fondata sulla cultura. Si, non è esattamente così, che – citando Zagrebelsky – il “fondata su…” nel testo della Costituzione è riservata al lavoro. Ma anche la cultura è lavoro, spesso duro lavoro, non evasione o diletto. Dedicandoci alla cultura, onoriamo dunque l’art. 1 della Costituzione cercando di “contribuire al progresso spirituale della società” come vuole l’art. 4.*

Eppure ancora oggi e in termini ora emergenziali, siamo qui a dover ribadire il ruolo fondamentale della cultura, e non solo perché senza cultura Newton la mela l’avrebbe mangiata – con buon pace ad esempio, del computer con cui sto scrivendo – ma anche perché il ruolo sociale della cultura
è sostanziale, che la società non è la mera somma di molti rapporti bilaterali concreti, di persone che si conoscono reciprocamente. È un insieme di rapporti astratti di persone che si ri-conoscono come facenti parte d’una medesima cerchia umana, senza che gli uni nemmeno sappiano chi gli altri siano. Questa è la questione decisiva per ogni vita sociale: come può esserci vita comune, cioè società, tra perfetti sconosciuti?

Qui entra in gioco la cultura. Riconoscersi senza conoscersi.*

Che l’unica malattia che ci contagi sia il virus della cultura.

*Gustavo Zagrebelsky, Fondata sulla cultura, Einaudi, Torino, 2014

Marco ArtusiAttore, regista e drammaturgoBiografia

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